Padova Sparita . Gioielli e luoghi perduti della “Padova che fu”

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La Padova che fu e che più non è, la Padova Sparita che più rimpiangiamo, vittima della corsa ad un progresso disinteressato a conservare bellezza ed identità.


Le città come organismi viventi sono da sempre soggette a cambiamenti e trasformazioni anche se forse mai sono cambiate tanto velocemente come nel corso degli ultimi decenni: a questa regola non sfugge neppure la nostra città ed è così che in questo post, per la rubrica “Cultura e curiosità”, vi parlerò della Padova sparita, la Padova che non c’è più e che ricordiamo solo grazie ad immagini ingiallite o vecchie stampe.

A proposito se volete vedere un po’ di foto della “Vecchia Padova”, della Padova in bianco e nero che fu guardate l’album fotografico pubblicato sulla pagina facebook del Blog.

Indubbiamente sono moltissimi gli scorci della città che sono cambiati anche negli ultimissimi anni e che oggi risultano quasi irriconoscibili per via di recenti cambiamenti urbanistici anche migliorativi ma in questo post mi premeva “ricordare” solo alcuni di questi luoghi spariti, talmente significativi per la storia e l’identità di Padova che oggi rimpiangiamo, e non poco, secondo me, nella speranza che almeno in parte si possa rimediare. Mi direte che è facile giudicare oggi le scelte di ieri con una maturata, nel complesso, sensibilità nei confronti dei beni culturali e dell’ambiente. Io dico che dagli errori di ieri si può imparare ma, “abbassando la guardia” dagli stessi non ne siamo affatto al riparo guardando al futuro.

In uno scenario mondiale dove la globalizzazione economica spinge verso una standardizzazione culturale valorizzare la propria identità locale dovrebbe rimanere sempre la scelta migliore, a mio avviso. Sarà un concetto ovvio e banale ma non retorico dal mio punto di vista poichè questo è stato ed è un principio base da cui nascono i miei post da sempre.

Borgo Santa Lucia

Uno dei più grandi rimpianti di questa carrellata sulla Padova Sparita è senz’altro il Borgo Santa Lucia che sorgeva tra l’attuale via Santa Lucia e Ponte Molino. Senz’altro questa, era una delle zone più significative della Padova medievale in cui giunsero fino a quasi i giorni nostri palazzi ed edifici alcuni dei quali abitati da personaggi illustri del calibro di Mantegna, di Pietro d’Abano ed altri. Ebbene, come avvenne in molte altre città d’Italia, durante il Ventennio Fascista, fu decisa la “bonifica” di aree urbane maggiormente degradate e Borgo Santa Lucia era caratterizzato da un notevole sovraffollamento, povertà, una situazione di promiscuità abitativa, senza contare che questa era la zona dei casini di basso rango. La legge Merlin sarebbe entrata in vigore solo nel 1958 a chiudere tutti i casini e a dichiarare la prostituzione attività illegale.

Il Borgo Santa Lucia, con le sue piccole case, spesso dotate di cortiletto con un pozzo, fu quindi raso al suolo per aprire via Verdi e realizzare Piazza Spalato, oggi Piazza Insurrezione, con i palazzi di Camera di Commercio e Inps. Stessa sorte toccò al Borgo Conciapelli, al posto del quale la città ha ereditato piazze anonime e poco frequentate quali piazza Conciapelli e Sartori, e lo stesso doveva toccare all’antico ghetto di Padova ma per fortuna, in questo caso, non fu portata avanti un’idea tanto sconsiderata.

Albergo Storione, gioiello “liberty” simbolo della Belle Epoque padovana

Dove oggi sorge la Banca Antoniana di Padova e Trieste in via 8 febbraio, all’inizio della zona pedonale proprio di fronte al Palazzo del Bo, sede storica dell’Università di Padova, fino al 1962 c’era l’Albergo Storione,perla della Padova liberty di inizio Novecento. E qualcuno di voi potrebbe dire? Eh capirai, che avrà mai avuto di tanto speciale questo albergo? Ve lo dico, cosa aveva di speciale e perché rientra a pieno titolo in questa selezioni di luoghi della Padova sparita che i padovani hanno tutte le ragioni per rimpiangere.

L’Albergo Storione, di proprietà del Comune di Padova, fu costruito a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento  nel cuore della città, di fronte all’Università, di fianco al Municipio e al Caffè Pedrocchi, quest’ultimo luogo di incontro dell’aristocrazia universitaria e degli studenti goliardi, lo Storione invece albergo e ristorante punto di riferimento di una borghesia ambiziosa, laica e liberale, fatta fuori dal fascismo qualche anno dopo. Fu però ad inizio Novecento che fu ampliato e nel giorno di sabato 3 giugno 1905 fu inaugurata la straordinaria decorazione della sala del ristorante, opera di Cesare Laurenti, fresco del successo all’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Questa dello Storione doveva essere il capolavoro di Laurenti, una decorazione raffinata che proponeva un intreccio tra architettura, pittura ed arti applicati con scene in grado di unire vita quotidiana ed arte come era tipico nell’Art Nouveau. Paramenti di legno, stucchi, medaglioni in ceramica ed un bellissimo dipinto dieci figure femminili danzanti. La sala d’ingresso, luminosissima, era stata realizzata in vetro e ghisa mentre un omaggio al nome del locale fu una decorazione di uno Storione inseguito da Nereidi e Tritoni.

Da “La Libertà” del 15 gennaio 1905: “E’ una vittoria del buon gusto, in tempi così grigi… La grande sala terrena, lunga venti metri, è tutta una festa del colore: sul lato delle pareti veleggiano con grazia squisita dieci figure di donna più grandi del naturale. Esse avvolgendosi in seducenti pose e con grazia squisita nelle vaporose e capricciose lor vesti; esse tutte rammenti di vita, che balza fuori dalla loro spalle, dai loro seni ignudi, trattengono con non minor grazia il serico velo che allungandosi fra corpo e corpo per tutta la lunghezza del prato primaverile, su cui prodigano il sorriso della giovinezza”

Durante l’epoca d’oro dello Storione, albergo molto apprezzato per il suo servizio impeccabile, vi soggiornarono personaggi del calibro di Gabriele d’Annunzio, Marconi, Einstein, Mascagni, Pirandello, Marinetti e molti altri.

“Viaggio in Italia” (1957): “Giungo a Padova la sera tardi, il giorno dell’Immacolata, prendo possesso della camera allo Storione, e scendo per pranzare. La sala maggiore del ristorante è occupata da un grande pranzo di macellai. Siedo nella sala accanto ma, più che mangiare, sbircio attraverso una tenda. Centinaia di macellai, come ne ho visti solamente a Chicago, intorno a molti preti e frati; il padre rettore del santo, calvo, grasso, occhialuto, seduto a capotavola, è fatto segno a riguardi reverenziali. I macellai di Padova detengono un privilegio; portano in processione per l’Immacolata il mento e la lingua di sant’Antonio; la sera, si uniscono a tavola. Fu un pranzo padovano, con pasticcio di maccheroni, bolliti e faraona arrosto; si pronunciavano discorsi faceti in un dialetto, il ruzzantino, incomprensibile anche ai veneti”.

Guardate questo bel video con la ricostruzione storica pubblicato sul canale youtube de “La Vecchia Padova”

Furono gli anni Sessanta, con il loro boom economico, l’entusiasmo per la modernità a tutti i costi ed una sorta di “futurismo malsano” di ritorno a determinare scelte sciagurate, prese senza guardare al futuro ma con il solo obiettivo di cavalcare l’onda di tale momento positivo sul piano economico e sociale. Fu così che nel 1962  l’Albergo Storione, gioiello liberty della bellezza fie de siècle di Padova fu raso al suolo per far spazio ad una Banca per scelta dell’amministrazione comunale di allora, guidata dal democristiano Crescente. Qualcuno tentò di fermare lo scempio ma senza successo. Qualcuno si pose il problema di salvaguardare gli affreschi di Laurenti che furono staccati dalle pareti ma, vista la loro fragilità andarono in gran parte distrutti. Nel 1966 i frammenti furono restituiti alla Banca e di questi solo una piccola parte fu recuperata per essere esposti, altri andarono ai Musei Civici.

Teatro Garibaldi, il teatro ottocentesco realizzato da Luigi Duse

Sempre negli anni Sessanta un altro scempio inaudito si realizzò nel cuore del centro storico. Laddove oggi sorge un supermercato in Piazzetta della Garzeria, di fronte al Caffè Pedrocchi e a poche decine di passi da Università e  Municipio c’era il Teatro Garibaldi. Si trattava in realtà di un teatro ottocentesco inaugurato nella primavera del 1834 e noto come Teatro Duse, dal nome di Luigi Duse, cognome noto, nonno della “divina” Eleonora Duse, capostipite di una famiglia dedita al teatro. Luigi Duse era capocomico, impresario ed attore e già prima di realizzare questo teatro pensato per il “popolo padovano” si esibiva facendosi pagare “in natura”, con merce utile al suo sostentamento e a quella dei suoi comici. Inizialmente era un teatro all’aperto , diurno, scoperto che poteva comunque contenere circa 900 spettatori. Il Teatro Duse, realizzato tutto in legno, fu poi successivamente ampliato e coperto per rappresentazioni anche serali: un piccolo teatro popolare frequentatissimo da padovani di tutte le estrazioni sociali e dagli studenti. Vi si producevano anche testi goldoniani e andarono in scena moltissimi spettacoli della commedia dell’arte e alle maschere che già aveva portato al Teatro Nuovo, poi Teatro Verdi, come Arlecchino, Meneghino, Pantalone, Stenterello e Brighella aggiunse anche una sua creazione: la maschera di Giacometto. Chissà se si tratta dello stesso Giacometto della nota canzone popolare “Me compare Giacometto”…a me piace pensare di si.

Il Teatro Duse era già in fase di declino quando fu ceduto dalla famiglia Duse ancora nel 1859 e divenne Teatro Sociale continuando ad attrarre un grande pubblico di persone. Nel corso del 1866 anno dell’annessione del Veneto al regno d’Italia fu frequentato anche da Giovanni Emanuele II e da Giuseppe Garibaldi, ospitato sul palco d’onore durante la rappresentazione dell’Amleto di Shakespeare recitato da Ernesto Rossi e fu così che nel 1868 prese il nome di Teatro Garibaldi. Fu ricostruito totalmente nel 1889 continuando ad ospitare spettacoli di prosa e di operetta ma anche spettacoli di lanterne magiche e di immagini in movimento fino al primo spettacolo del cinematografo dei fratelli Lumiére. Poi sempre più il teatro cedette spazio al cinema fino al 1969 quando fu distrutto. con i suoi palchi dorati e la storia per lasciar spazio al supermercato…

La tribuna in legno dello Stadio Appiani

Potrà sembrarvi una cosa di poco conto e fuori luogo citare in questo post dedicato ai rimpianti della Padova Sparita una tribunetta di uno stadio in una lista di dolorose perdite sul piano culturale, architettonico, culturale che Padova ha subito nel corso del tempo e forse lo è, tuttavia si tratta di un esempio piuttosto significativo per esprimere quanto voglio dire con questo post. Il messaggio è chiaro: non sempre l’efficienza, il razionalismo sono le scelte migliori o forse, senza esprimere giudizi si qualità, comportano anche degli strappi sul piano emotivo. Le città sono solo cubature e spazi fisici? Non credo! Credo piuttosto che le città siano in primis le persone che le abitano e queste hanno bisogno anche di bellezza e di emozioni.
Insomma nel 1960 il mitico Stadio Appiani, dove aver vissuto i fasti del Grande Padova di Nereo Rocco, viene ampliato solo che, inserito nel piano di lavori anche apprezzabili fu sacrificata la tribuna storica più rappresentativa dello stadio, una tribunetta tutta in legno con la copertura spiovente in cui campeggiava ben visibile lo stemma del Calcio Padova, e seguendo lo stile degli anni stadi inglesi.
Sarà stata anche più razionalista ma abbattere quella tribuna per ricostruirla in cemento di certo fece perdere allo stadio molto del suo fascino e del suo romanticismo. Per noi tifosi del Padova, che non vinciamo scudetti o trofei internazionali anche questi dettagli sono importanti! Negli ultimi anni quella tribuna è stata ulteriormente restaurata (con le gigantografie a ricordo dei giocatori e di quelle squadre più rappresentative della storia del Calcio Padova) grazie al contributo di privati dopo che lo Stadio Appiani, chiuso e dismesso dal grande calcio nel 1994, era stato abbandonato.

La Padova città d’acque

Concludo questa mia carrellata dedicata alla Padova Sparita con la scelta sbagliata più eclatante e dolorosa ma che, tuttavia, allo stesso tempo e almeno in parte potrebbe essere riparata: la scelta di tombinare i canali del centro storico decretando la morte della Padova città d’acque, identità che aveva sempre caratterizzato la nostra città. La forma di Padova era data da mura e canali, frequentati e vissuti dai suoi abitanti da sempre, fino a quando si decise, a partire degli ultimi anni dell’Ottocento e fino agli anni Sessanta del Novecento di chiudere e seppellire queste vie d’acqua per assecondare l’esigenza della mobilità privata a motore e quindi favorire il traffico automobilistico.

Come detto all’inizio in questo post sulla Padova Sparita o sulla Padova che fu, può sembrare poco opportuno giudicare oggi scelte passate in anni in cui la sensibilità ambientale da una parte ed il desiderio di vedere la propria città al massimo della sua espressione culturale, paesaggistica, artistica non erano così sentite. Anzi…erano anni in cui i canali erano considerati quasi fastidio, utilizzati come discarica ed immondezzaio e è merito di singoli cittadini riuniti in associazioni che negli ultimi 30-40 anni hanno risollevato il valore del recupero di questa Padova: il Comitato Mura, gli Amissi del Piovego, così come la Rari Nantes sono le realtà che ancora oggi si impegnano per la tutela e la valorizzazione di mura e canali.

Pensate anche solo ad una parziale riapertura di alcuni tratti di canali (non dove passa il tram ovviamente) e alla possibilità di proporre a padovani e turisti delle escursioni su barche tradizionali quanto bello ed attrattivo sarebbe. Pensando alla bellezza di città d’acqua quali Amsterdam e Gent in Belgio per citarne un paio non si può non provare dispiacere pensando che Padova avrebbe potuto comunque perseguire il proprio sviluppo mantenendo e valorizzando anche i propri canali. Milano ad esempio l’ha capito e sta cercando di rimediare all’errore commesso. Padova Sparita ma in casi come questo speriamo si possa un giorno rimediare, almeno parzialmente!

Alberto Botton

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